L’odore della carta, umida e fradicia. E l’improvviso temporale che fa sbattere l’uscio.
Così, lì in un angolo, quasi svenuto, ritrovo un vecchio amico.
Ha pagine sbiadite che raccontano il Seicento.
Lo riabbraccio con emozione, e al cuore lo avvicino.
“La Defenestrazione di Praga” è argomento sempre caro, perché a sovvenirmi è la medesima questione.
Quanto sarà durato esto celebre volo? Un battito di ciglia o un secolo di soprusi?
Soprusi, forse esagero, ma che tre disgraziati sian atterrati sulla immondizia, credere non ci voglio.
La spazzatura è problema antico, ma non può sozzar questa storia.
Perché le parole dei vermigli prelati le conferiscon divina valenza.
Ma lor pregano alzando un calice, un Dio in cui non credon.
E io, per questo, altrove mi volto.
Perchè il mio romantico immaginar altro mi suggerisce.
Un guttural urlo per tutto il vol suddetto.
E salvi con le carni pulsanti e vive si son trovati. Per diletto, per disgrazia o per destino.
Così con bianche ali toccaron terra, prenderon slancio e nel firmamento si diressero.
Seicentechi Pindaro diventaron. Pien di gioia e di virtù.
Placidi e coraggiosi volano ancor oggi verso il Divino Ignoto.